Sass de Dama e Roseàl - Val di Fassa - TRENTINO
Le Rose del Ricordo e la Sorellanza delle Rose
Per raccontare questa antica credenza legata all'altura Roseàl e al Sass de Dama, in Val di Fassa, rimandiamo alla storia raccolta e rinarrata dal grande Karl Felix Wolff.
In aggiunta, riporto una mia breve nota, e anche le foto di alcune delle zone della leggenda.
Le Rose del Ricordo:
http://www.tempiodellaninfa.net/public/print.php?sid=300
Nota al racconto:
"Secondo Karl Felix Wolff la zona delle montagne bianche e nere potrebbe essere quella di Allòc, Monciòn e Buffàure, nelle Dolomiti fassane. Qui si trova infatti un’alternarsi di rocce bianche e rocce nere che creano singolari contrasti fra loro.
Anche l’altura che viene chiamata Roseàl fa parte delle Dolomiti fassane, ed è vicina alla valle di Contrìn e posta dinnanzi al monte Vajolòn, che era considerato il leggendario giardino di rose di Re Laurino.
28 maggio 2015
3 maggio 2015
Le Querce sacre e le Sacerdotesse di Ganna
Kan Schon Oaken (Alle Belle Querce) - Ganna - Rotzo - Vicenza - VENETO
Le Querce sacre e le Sacerdotesse di Ganna
Si dice, e c'è chi lo ricorda ancora, che nella località Ganna, vicino a Castelletto di Rotzo, esistesse un luogo sacro chiamato Kan Schon Oaken, ovvero "Alle Belle Querce". Qui crescevano querce secolari magnifiche, e in particolare ve n'era una, dal tronco enorme, sotto alla quale si riunivano i capi del villaggio per consultarsi e per prendere decisioni che avrebbero mantenuto una vita sociale armoniosa.
A tal proposito esiste una fiaba cimbra che narra che le Belle Querce erano poste sotto la protezione delle Sacerdotesse di Ganna, che vivevano poco lontano e si prendevano cura dei grandi alberi, assicurandosi che nessuno li minacciasse e che il luogo in cui crescevano rimanesse inviolato, perché era considerato sacro.
Queste bellissime Sacerdotesse vestivano lunghi abiti bianchi, conoscevano le proprietà delle erbe mediche, e conducevano una vita appartata e votata all'antico culto di Ganna.
Leggendo la fiaba mi sono immersa nella ricerca e nello studio, e ho potuto ricostruire una piccola parte di ciò che può essere esistito in quel luogo. Quelli che raccolgo qui sono solo pochi e brevi appunti.
Ganna era in principio una Sacerdotessa e Profetessa Germanica, e apparteneva al popolo dei Semnoni. Di lei non si hanno che un paio di brevissimi accenni sulla sua visita a Roma intorno al 91-92 d.C., sotto l'impero di Domiziano.
Le Querce sacre e le Sacerdotesse di Ganna
Si dice, e c'è chi lo ricorda ancora, che nella località Ganna, vicino a Castelletto di Rotzo, esistesse un luogo sacro chiamato Kan Schon Oaken, ovvero "Alle Belle Querce". Qui crescevano querce secolari magnifiche, e in particolare ve n'era una, dal tronco enorme, sotto alla quale si riunivano i capi del villaggio per consultarsi e per prendere decisioni che avrebbero mantenuto una vita sociale armoniosa.
A tal proposito esiste una fiaba cimbra che narra che le Belle Querce erano poste sotto la protezione delle Sacerdotesse di Ganna, che vivevano poco lontano e si prendevano cura dei grandi alberi, assicurandosi che nessuno li minacciasse e che il luogo in cui crescevano rimanesse inviolato, perché era considerato sacro.
Queste bellissime Sacerdotesse vestivano lunghi abiti bianchi, conoscevano le proprietà delle erbe mediche, e conducevano una vita appartata e votata all'antico culto di Ganna.
Leggendo la fiaba mi sono immersa nella ricerca e nello studio, e ho potuto ricostruire una piccola parte di ciò che può essere esistito in quel luogo. Quelli che raccolgo qui sono solo pochi e brevi appunti.
Ganna era in principio una Sacerdotessa e Profetessa Germanica, e apparteneva al popolo dei Semnoni. Di lei non si hanno che un paio di brevissimi accenni sulla sua visita a Roma intorno al 91-92 d.C., sotto l'impero di Domiziano.
29 aprile 2015
La Fata Nerina e il Volo Magico
Lago d'Aï e Torre D'Aï (Lac d'Aï e Tour d'Aï) - Alpi di Vaud - Canton Vaud - SVIZZERA
La Fata Nerina e il Volo Magico
Saliamo un poco più su della nostra Italia settentrionale per incontrare una leggenda simile ad altre della zona alpina. Una leggenda dolce e romantica, ma un po' malinconica.
Esiste un luogo davvero magico sulle Alpi di Vaud. Un laghetto minuscolo è circondato da prati verdissimi, rocce e arbusti, e poco distante, una parete di pietra verticale, la Torre di Mayen, è posta proprio di fronte alla sua gemella, la piccola Torre d'Aï. Lungo il lato nord della Torre, c'è una soglia a forma circolare, che si apre su una grotta ombrosa. Qui, si diceva che un tempo vivessero le Fate, e la grotta si chiama Barma delle Fate d'Aï.
Gli abitanti di Leysin, dicono che proprio ai piedi di questa apertura rotonda, vennero trovati dei piccoli ditali, delle forbicine e dei pezzetti di stoffa, segno che le Fate che vi abitavano cucivano e forse ricamavano, nella pace e nell'armonia.
Le Fate d'Aï erano protettrici delle greggi e delle mandrie, e vegliavano su di esse, rendendo abbondante il loro latte. Per ringraziarle del loro servizio, i pastori lasciavano sul tetto di una baita un secchiello pieno di deliziosa panna tutta per loro.
Narra la leggenda che la più giovane delle Fate, la bellissima Nerina - o Nérine - si era innamorata di un bel pastore di nome Michele - o Michel.
La Fata Nerina e il Volo Magico
Saliamo un poco più su della nostra Italia settentrionale per incontrare una leggenda simile ad altre della zona alpina. Una leggenda dolce e romantica, ma un po' malinconica.
Esiste un luogo davvero magico sulle Alpi di Vaud. Un laghetto minuscolo è circondato da prati verdissimi, rocce e arbusti, e poco distante, una parete di pietra verticale, la Torre di Mayen, è posta proprio di fronte alla sua gemella, la piccola Torre d'Aï. Lungo il lato nord della Torre, c'è una soglia a forma circolare, che si apre su una grotta ombrosa. Qui, si diceva che un tempo vivessero le Fate, e la grotta si chiama Barma delle Fate d'Aï.
Gli abitanti di Leysin, dicono che proprio ai piedi di questa apertura rotonda, vennero trovati dei piccoli ditali, delle forbicine e dei pezzetti di stoffa, segno che le Fate che vi abitavano cucivano e forse ricamavano, nella pace e nell'armonia.
Le Fate d'Aï erano protettrici delle greggi e delle mandrie, e vegliavano su di esse, rendendo abbondante il loro latte. Per ringraziarle del loro servizio, i pastori lasciavano sul tetto di una baita un secchiello pieno di deliziosa panna tutta per loro.
Narra la leggenda che la più giovane delle Fate, la bellissima Nerina - o Nérine - si era innamorata di un bel pastore di nome Michele - o Michel.
27 aprile 2015
Le Panche delle Selegen Baiblen
Banchette o Alta Kugela - Castelletto di Rotzo e Pedescala - Vicenza - VENETO
Le Panche delle Selegen Baiblen
Si chiamano Selegen Baiblen in area cimbra, ma anche Salighe, Salvarie, Salvadele, o semplicemente Donne Selvatiche, e "Beate Donnette". Erano probabilmente donne semi-divine, Dee della Natura incarnate in corpo di donna, oppure sacerdotesse dell'antico culto di Madre Natura, che nella zona del Nord Italia veniva spesso chiamata Berchta - o Perchtega/Perchta fra gli antichi cimbri.
Esistono moltissime leggende e riferimenti a loro nella tradizione alpina, dolomitica e in generale nord-italiana, e si sa che erano Vergini in senso antico del termine, che vivevano nelle grotte e nei boschi, conoscevano le proprietà delle erbe e avevano insegnato agli uomini molti segreti legati ai cicli naturali, come la semina in certi periodi dell'anno, il modo per far diventare burro il latte, la tessitura del lino, la filatura, la coltivazione della segale e del lino, e molti altri misteri, soprattutto femminili.
Proprio nella bellissima zona della Lessinia, fra i Monti Lessini e in particolare lungo il sentiero che congiunge Castelletto di Rotzo a Pedescala, si narra che spesso si incontrassero le Selegen Baiblen, e che era possibile vederle mentre, sedute sulle "Banchette", lavoravano la lana, cardandola, dipanandola, filandola e formando i magici gomitoli che non finivano mai.
Le Panche delle Selegen Baiblen
Si chiamano Selegen Baiblen in area cimbra, ma anche Salighe, Salvarie, Salvadele, o semplicemente Donne Selvatiche, e "Beate Donnette". Erano probabilmente donne semi-divine, Dee della Natura incarnate in corpo di donna, oppure sacerdotesse dell'antico culto di Madre Natura, che nella zona del Nord Italia veniva spesso chiamata Berchta - o Perchtega/Perchta fra gli antichi cimbri.
Esistono moltissime leggende e riferimenti a loro nella tradizione alpina, dolomitica e in generale nord-italiana, e si sa che erano Vergini in senso antico del termine, che vivevano nelle grotte e nei boschi, conoscevano le proprietà delle erbe e avevano insegnato agli uomini molti segreti legati ai cicli naturali, come la semina in certi periodi dell'anno, il modo per far diventare burro il latte, la tessitura del lino, la filatura, la coltivazione della segale e del lino, e molti altri misteri, soprattutto femminili.
Proprio nella bellissima zona della Lessinia, fra i Monti Lessini e in particolare lungo il sentiero che congiunge Castelletto di Rotzo a Pedescala, si narra che spesso si incontrassero le Selegen Baiblen, e che era possibile vederle mentre, sedute sulle "Banchette", lavoravano la lana, cardandola, dipanandola, filandola e formando i magici gomitoli che non finivano mai.
17 febbraio 2015
Il Territorio della Vecchia
Un piccolo aggiornamento sulla splendida leggenda della Vecchia con l'Orso, del Lago della Vecchia nel Biellese, vicino a Piedicavallo.
Questo breve estratto proviene proprio dal libro sottocitato "La Pietra delle Madri a Viu", nell'intervento finale di Filippo Maria Gambari:
"Nel Biellese, la Vecchia con il fuso e l'orso non solo è effigiata presso l'omonimo lago sopra Piedicavallo, ma addirittura viene riconosciuta come precedente signora dei Monti di Oropa, fino al punto che la tradizione popolare locale del pellegrinaggio mariano prevedeva addirittura l'omaggio alla Vecchia presso l'omonima fontana ai piedi della salita ad Oropa, in ossequio al suo antico dominio sui luoghi (...)."
Questo breve estratto proviene proprio dal libro sottocitato "La Pietra delle Madri a Viu", nell'intervento finale di Filippo Maria Gambari:
"Nel Biellese, la Vecchia con il fuso e l'orso non solo è effigiata presso l'omonimo lago sopra Piedicavallo, ma addirittura viene riconosciuta come precedente signora dei Monti di Oropa, fino al punto che la tradizione popolare locale del pellegrinaggio mariano prevedeva addirittura l'omaggio alla Vecchia presso l'omonima fontana ai piedi della salita ad Oropa, in ossequio al suo antico dominio sui luoghi (...)."
11 febbraio 2015
Minerva e Brighid nel Nord Italia
In una delle ricerche pubblicate qualche tempo fa sulla nostra pagina, dedicata alla descrizione dei reperti lapidei rinvenuti nel novarese - ma presenti in tutto il Nord Italia - e in particolare a quelli dedicati alla romanizzata Minerva, abbiamo accennato ad una possibile Dea più antica, di origine celtica o addirittura precedente, che i Romani identificarono appunto con la loro Minerva.
L'ipotesi più verosimile è che la Minerva romana fosse in realtà un'interpretazione dell'antica Brighid celtica, in quanto i Romani attribuivano il nome delle loro divinità a quelle che ne rispecchiavano maggiormente le caratteristiche.
Dalla lettura del prezioso libro "Tracce Celtiche", di Marco Fulvio Barozzi - uno dei libri migliori e più affidabili che trattano di questi temi - emerge con ancora più intensità questo accostamento, questa identificazione, che rende le nostre terre pregne dello spirito dell'arcaica Brighid, che regnava in moltissimi luoghi, e che venne ricordata con il nome di Minerva.
Riportiamo di seguito alcuni brani che spiegano i motivi di questa identificazione:
"La romana Minerva era in origine una Dea etrusca, Menrva, che a sua volta era una delle manifestazioni della Grande Dea mediterranea. (...) secondo il De Palma il nome della Dea conterrebbe una radice indoeuropea, "menes", che indica "mente, coraggio", che con il suffisso derivativo - wa, avrebbe dato Menrs-wa, divenuto poi Menerwa (...). Se questa ipotesi fosse fondata, si spiegherebbero gli attributi della Minerva romana arcaica, venerata come protettrice delle attività intellettuali, delle arti e dei mestieri, oltre che come dea dell'ingegno.
L'ipotesi più verosimile è che la Minerva romana fosse in realtà un'interpretazione dell'antica Brighid celtica, in quanto i Romani attribuivano il nome delle loro divinità a quelle che ne rispecchiavano maggiormente le caratteristiche.
Dalla lettura del prezioso libro "Tracce Celtiche", di Marco Fulvio Barozzi - uno dei libri migliori e più affidabili che trattano di questi temi - emerge con ancora più intensità questo accostamento, questa identificazione, che rende le nostre terre pregne dello spirito dell'arcaica Brighid, che regnava in moltissimi luoghi, e che venne ricordata con il nome di Minerva.
Riportiamo di seguito alcuni brani che spiegano i motivi di questa identificazione:
"La romana Minerva era in origine una Dea etrusca, Menrva, che a sua volta era una delle manifestazioni della Grande Dea mediterranea. (...) secondo il De Palma il nome della Dea conterrebbe una radice indoeuropea, "menes", che indica "mente, coraggio", che con il suffisso derivativo - wa, avrebbe dato Menrs-wa, divenuto poi Menerwa (...). Se questa ipotesi fosse fondata, si spiegherebbero gli attributi della Minerva romana arcaica, venerata come protettrice delle attività intellettuali, delle arti e dei mestieri, oltre che come dea dell'ingegno.
8 febbraio 2015
Le antiche Madri del Latte
Le Madonne del Latte sono un'eco molto forte dell'antico culto della Dea Madre, la Nutrice della Vita, Colei che partorisce tutto ciò che nasce sulla Terra e che lo nutre grazie al sacro latte. Le Madri del Latte erano onorate soprattutto nei luoghi in cui scorrevano sorgenti lattifere e nelle grotte del latte, dove dalle "mammelle di roccia" (stalattiti) colava l'acqua che per l'alta presenza di carbonato di calcio appariva lattiginosa, bianca, e donava alle puerpere una maggiore montata lattea.
Questi luoghi erano dunque sacri alla Madre Lattifera (Portatrice di Latte), la Dea Nutrice, la Dea dalle Mammelle piene di Latte.
Le donne soprattutto la onoravano dopo il parto e "succhiavano" dai suoi seni rocciosi il suo latte, oppure lo bevevano attingendo alle piccole coppelle che il ripetuto gocciolamento del liquido creava sulla superficie rocciosa sottostante. Dopo aver bevuto, esse lasciavano offerte votive, fra cui statuette femminili che ripetevano la forma della Dea Madre dalle forme morbide e accentuate.
Questi luoghi erano dunque sacri alla Madre Lattifera (Portatrice di Latte), la Dea Nutrice, la Dea dalle Mammelle piene di Latte.
Le donne soprattutto la onoravano dopo il parto e "succhiavano" dai suoi seni rocciosi il suo latte, oppure lo bevevano attingendo alle piccole coppelle che il ripetuto gocciolamento del liquido creava sulla superficie rocciosa sottostante. Dopo aver bevuto, esse lasciavano offerte votive, fra cui statuette femminili che ripetevano la forma della Dea Madre dalle forme morbide e accentuate.
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