L’antico tempio naturale della Madre Nera
Considerato fra i luoghi di culto più importanti delle Alpi, il Santuario di Oropa sorge a circa 1200 metri di altitudine su un vasto pianoro, simile a un anfiteatro naturale circondato dalle vette delle montagne, ed è ritenuto sacro sin da tempi remoti. Fu infatti centro spirituale femminile dedicato alla Grande Madre e alle sue manifestazioni naturali molto prima che il cristianesimo vi mettesse radici, costruendo le sue chiese.
I fedeli vi si recano per pregare e chiedere guarigione alla Madonna Nera, custodita all’interno della Basilica Antica, ma è raro che conoscano le origini del santuario e i suoi siti più magici e potenti, fatti di rocce millenarie, boschi e corsi d’acqua.
I centri più noti e frequentati del santuario sono infatti le due Basiliche, diverse per valore e importanza. La Basilica Antica, piccola e accogliente, risalente al 1600 – nata come voto fatto dalla Città di Biella durante la grave epidemia di peste avvenuta nel 1599 – e ultimata nel 1620, è da considerarsi l’edificio più rilevante; quella nuova, la Basilica Superiore, o Basilica Nuova, molto più spaziosa, è stata costruita alla fine del 1800 – la prima pietra venne posata nel 1885 – e consacrata nel 1960, con lo scopo di contenere comodamente il grande flusso di fedeli in visita al santuario, troppo numerosi per poter assistere alle funzioni nella piccola Basilica Antica.
Accanto alle due Basiliche si snoda il percorso del Sacro Monte, con le numerose cappelle disseminate sul versante della montagna, mentre all’interno del complesso, sul lato sinistro, si trovano gli appartamenti reali dei Savoia e il Museo dei Tesori di Oropa, nel quale sono custoditi i preziosi gioielli che, una volta ogni cento anni, adornano la statua della Madonna Nera durante il rituale dell’incoronazione.
I misteri più antichi di Oropa, però, sono legati alla terra su cui sorge il Santuario, ed emergono anche dalle varie leggende sulla sua origine e su quella dell’emblematica Madonna Nera.
La leggenda cristiana vuole che il sardo Sant’Eusebio, di ritorno dall’Oriente, avesse portato con sé le statue di tre Madonne Nere e le avesse lasciate in tre luoghi diversi, divenuti grandi centri spirituali cristiani dedicati appunto alla Madonna. Una di queste statue venne lasciata a Cagliari, un’altra a Crea, in Monferrato – ne ho parlato qui – e la terza, forse la più importante, a Oropa. Quest’ultima si dice fosse stata nascosta dal santo sotto una grande roccia, per proteggerla dalla persecuzione degli eretici, eppure è la roccia a cui si fa riferimento ad avere una lunga tradizione che la rende più importante della statua stessa, come vedremo in seguito.
A questa leggenda ne segue una valdostana, secondo la quale si narra che la statua della Madonna Nera di Oropa era stata misteriosamente rinvenuta da un giovane pastore di Fontainemore, e che provenisse dunque dalla Valle d’Aosta. Un’altra testimonianza, forse più realistica, dice che la statua venne semplicemente scolpita da un ignoto artista fontainemorese, e in seguito donata al santuario.
Del resto, i due paesi – Oropa e Fontainemore – sono da sempre legati fra loro da antiche usanze mai spente, come dimostra la processione notturna che da Fontainemore raggiunge Oropa attraversando la montagna, che si svolge ogni cinque anni nel mese di luglio.
La leggenda valdostana è riportata da Jean Jacques Christillin come segue:
“Fontainemore è intimamente legata alle origini del santuario di Oropa. La tradizione riporta che un ragazzo, originario di Fontainemore e in servizio come pastore a Sordevolo, mentre pascolava un giorno il suo gregge sui pascoli su cui attualmente si innalza il santuario, sentì nell’aria un profumo d’una soavità straordinaria. Cercando da ogni parte quale poteva esserne la causa, attraversò un torrentello e arrivò presso una roccia isolata in mezzo a una radura sul limitare d’un bosco. Ai piedi della roccia, il pastorello trovò la statua miracolosa che oggi si venera nel santuario di Oropa.
Questa statua in legno nero inalterabile è attribuita come tante altre a San Luca evangelista. Portata tra questi monti da un cristiano dei primi tempi, essa è stata deposta ai piedi della roccia da Sant’Eusebio, vescovo di Vercelli, verso l’anno 369.”
La leggenda termina con una nota: “Questa roccia è stata più tardi racchiusa in una cappella detta “Cappella del sasso” che fu costruita dagli abitanti di Fontainemore, con l’aiuto delle offerte raccolte nelle altre parrocchie della Vallesa.” (1)
Nella leggenda valdostana compaiono proprio gli elementi naturali che rendono sacra questa collina, la roccia, il torrentello, il bosco, ben noti non solo alle genti che visitavano questo tempio naturale in tempi pre-cristiani, ma anche ad alcune di quelle che continuarono a visitarlo in seguito. Le donne, soprattutto, li ricordano ancora oggi.
L’elemento più importante resta comunque la grande roccia, chiamata Roch dla Vita, o Roccia della Vita.
Questo enorme masso erratico si trova a pochi passi dalla Basilica Superiore, sulla destra, isolato rispetto al complesso del grande santuario, ed è in parte inglobato in una cappella, chiamata proprio Cappella del Sasso o Cappella del Roch, nel tentativo di cristianizzare l’antico culto litico e mitigare, o possibilmente sopprimere del tutto, le scomode e “sconce” gestualità magiche che le donne continuavano a praticare nonostante i divieti. La roccia, infatti, era ritenuta capace di aumentare la fertilità femminile, ovvero di favorire gravidanze desiderate, e mostra una fenditura allungata, una sorta di passaggio stretto e sinuoso che ricorda l’intimità delle donne. Attraverso questa stretta fenditura le donne passavano, strusciando contro la parete rocciosa, poi giravano alcune volte a piedi nudi intorno alla pietra, mormorando antiche filastrocche e, raggiunto un punto preciso del masso, vi battevano energicamente il basso ventre e/o le natiche. In tal modo credevano di venire simbolicamente fecondate dalla roccia stessa, nonché di guarire dal mal di schiena.
Questo rituale è descritto da Luigi Pertusi e Carlo Ratti nel loro Guida per il villeggiante nel Biellese, e ricordato da Roberto Gremmo nel suo Le Grandi Pietre Magiche:
Ancora nel 1900 si vedevano “lunghe file di donne del ceto campagnolo ed anche cittadino accostarsi, talvolta a piedi nudi e borbottando incomprese filastrocche, alla venerata cappella; farvi, atteggiate a profonda compunzione, più giri intorno processionalmente, ed ogni volta che passano innanzi ad un certo punto del sasso, battervi contro sovente furtivamente, con una certa forza (…) la parte più carnosa del proprio individuo”.
In un altro breve estratto, riportato da Roberto Gremmo, si legge ancora: “E quando giungono ad un certo punto del masso vi battono contro coi fianchi o col dorso avendo ferma fede che (…) serva loro (…) per guarire o per essere immuni dalla sterilità e dalle lombaggini.” (2)
In questa pratica sopravvivono antichissimi rituali misterici, che coinvolgevano alcune parti del corpo femminile, come i glutei, e servivano a propiziare fecondità e guarigione.
Il nome stesso della pietra, ovvero Roccia della Vita, richiama del resto la nascita e la rinascita, e non a caso, come accennato in precedenza, è proprio ai suoi piedi che si racconta fosse stata rinvenuta o nascosta la statua della Madonna Nera.
Per molto tempo i responsabili del santuario hanno tentato di evitare il perdurare di questi riti, che le donne continuavano a praticare, incuranti delle intimazioni, degli ammonimenti e dei rimproveri. Più volte venne bloccato più con lastre di pietra il passaggio nella roccia. Le lastre, però, venivano sempre trovate rimosse, e le donne continuavano a passare attraverso la fenditura, a girare in tondo e ad avere “sconci rapporti intimi con la pietra”. Recentemente, purtroppo, il passaggio è stato definitivamente cementificato.
La Roch dla Vita non è tuttavia l’unica roccia sacra della collina di Oropa. Un’altra grande roccia è proprio a ridosso della Basilica Antica, incorporata nella sua muratura, ed emerge sia all’interno della chiesa, protetta da una grata, sia soprattutto all’esterno, dove scende fino a raggiungere il livello del terreno.
Anche questa pietra era ritenuta sacra dalle genti antiche, ed è proprio la Basilica Antica che la contiene – nel comune tentativo di assorbire gli antichi simboli precristiani e farli propri – che custodisce al suo interno anche la Madonna Nera.
La statua è stata realizzata in legno di cirmolo (pino cembro) intorno al XIII secolo, porta un abito oro e un mantello azzurro, e nella mano destra mostra una mela dorata. Sulla mela vi sono due foglie e una croce, che però in origine era un semplice fiore. Il Bambino, invece, tiene nella mano sinistra un uccellino.
Interessanti sono gli esami svolti sulla statua negli ultimi anni: la spettrografia la fa risalire al XV secolo, mentre la prova del radiocarbonio ne colloca la realizzazione tra il 770 e il 900. Questo secondo esame rivela che la statua è più antica di quanto sembri, ed è probabile che sia stata dipinta, o magari modificata, in un periodo successivo.
La simbologia della Madonna Nera è la più misteriosa. La sua pelle scura, a lungo erroneamente attribuita al nerofumo delle candele, richiama alcune divinità arcaiche dalla pelle nera, come Artemide Efesia e Iside-Ishtar, oltre al potere fecondo della terra bruna.
Il nero, però, rappresenta anche l’ignoto, il buio, dunque il mistero dell’inconoscibile, per questo la Madonna Nera, ovunque appaia, potrebbe simboleggiare la presenza in loco di percorsi iniziatici antichissimi, che portavano le iniziande e gli iniziandi a superare il limite del conosciuto e ad accedere all’oltre, ovvero a varcare le ombre e a sperimentare ciò che celano.
Questo richiamo potrebbe sopravvivere anche nella credenza che le Madonne Nere fossero in grado di resuscitare i bambini nati morti per permettere loro di ricevere il battesimo, e quindi di essere ammessi in paradiso. Un retaggio cristianizzato del potere di riportare in vita i morti – come Iside fece con Osiride – e di permettere loro di accedere alle dimensioni di luce e saggezza assolute.
Vicino alla Madonna Nera, sono presenti tre affreschi di Madonne del Latte, eco della dea nutrice e manifestazioni di fertilità, vita e nutrimento, e compare spesso il simbolo della stella, forse a indicare ciò che nella notte più nera illumina la strada e permette di non perdere la rotta.
Tornando al complesso del Santuario di Oropa, sinora abbiamo dunque incontrato due rocce sacre e la misteriosa statua della Madonna Nera, ovvero ciò che è sopravvissuto dell’antica Madre divina della terra, della fertilità naturale e femminile, ma anche del mistero, dell’inconoscibile, della magia.
Questi elementi naturali e artistici erano un tempo circondati e protetti da un fitto bosco sacro – del quale restano solo poche macchie per via della costruzione delle varie cappelle che si dispiegano lungo il percorso devozionale del Sacro Monte – e da prati simili a grandi radure illuminate dal sole e dalla luna, come l’ampio Prato delle Oche, situato proprio davanti al complesso del Santuario.
Di fronte alla Basilica Antica è presente la Fontana del Burnell, dalla quale è possibile attingere con i mestoli l’acqua guaritiva che scorre dalla montagna. Quest’acqua ha ottime proprietà minerali e si crede che agisca sul “disordine mentale” e sulle “disarmonie cellulari”, infondendo pace e armonia sia al corpo, sia allo spirito.
Non solo, accanto alla Roch dla Vita della Cappella del Sasso, scorre un torrentello, il rio d’Oropa, soprannominato Eva ch’a massa, ovvero “l’acqua che ammazza”, per via di un’altra interessante leggenda. Si narra che una giovane pastorella, per sfuggire a un uomo che voleva violentarla, si gettò nelle acque impetuose e venne soccorsa e salvata dalla Madonna, che la fece librare in aria e posare dolcemente a terra, senza che subisse alcun male. Invece di essere grata per l’evento straordinario, però, la giovane divenne superba e arrogante, e sfidando la Madonna a farla volare di nuovo, si lanciò ancora nel vuoto. La Vergine però non la soccorse più, e la giovane precipitò, schiantandosi sulle pietre.
Questa leggenda, che mette in guardia dallo sfidare la Madonna e l’intervento della buona fortuna, potrebbe nascondere una duplice simbologia: da una parte, la possibilità dell’esperienza del volo e della salvezza per coloro che, in condizioni di reale necessità, chiedono il soccorso della divinità, dall’altra la tragica sorte di coloro che, per arroganza, presunzione, o per dimostrare qualcosa agli altri, osano sfidarla.
Sembra che oltre a questi luoghi sacri ve ne fosse anche un altro, nel punto in cui sorge la cosiddetta Cappella del Trasporto. La sua leggenda è molto simile alle numerose altre che narrano della “volontà” di certe statue di rimanere in un luogo piuttosto che in un altro. Anche in questo caso, infatti, si dice che in occasione del trasferimento – o del trasporto, appunto – della statua della Vergine scura a Biella, questa cominciò a diventare talmente pesante da costringere i portatori a deporla per terra. Si interpretò quindi il fatto come la volontà della statua di rimanere a Oropa, e nel punto in cui venne posata, si costruì la cappella.
La Cappella del Trasporto, però, è interessante in quanto legata ad altre due rocce: una le fa da appoggio nella sua parte destra; l’altra, più grande, è davanti alla porta della facciata.
“(…) accostandosi alla porta d’ingresso si nota accanto al muro, proprio sotto la strada asfaltata, uno spazio vuoto, una cavità che corre come una galleria fra lastre di pietra che sfiorano ma non toccano l’edificio. Vi si entra facilmente da un lato, uscendo dall’altro percorrendo una sorta di “passaggio stretto”. Dalla roccia scendono gocce d’acqua e l’atmosfera in quel cunicolo piccolo e buio è certamente suggestiva.” (3)
Si potrebbe dedurre che si tratti quindi di un altro passaggio sacro, e la costruzione di un’altra cappella a inglobarlo rende ancora più verosimile questa ipotesi.
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Camminando lungo la collina di Oropa si incontrano, uno dopo l’altro, i suoi punti più magici, quasi tutti naturali, quasi tutti millenari e conosciuti sin da epoche lontanissime: le rocce sacre – la Roch dla Vita, la roccia della Basilica Antica e quelle della Cappella del Trasporto – l’acqua curativa e salvifica – la Fontana del Bornell e il torrentello “che ammazza”, ma che può anche sottrarre alla morte e quindi mantenere in vita – il bosco sacro e la radura – il Prato delle Oche – e infine la rappresentazione della Madonna Nera, qui chiamata anche Regina dei Monti di Oropa, che richiama la Grande Madre arcaica e che la leggenda vuole fosse stata rinvenuta non a caso sotto la Roccia della Vita.
Il retaggio pre-cristiano è talmente forte da non poter essere dimenticato o cancellato, nemmeno incorporandolo nella muratura di chiese e cappelle, o tentando di sigillare i magici passaggi rocciosi con il cemento.
I secoli scorrono, ma le radici antiche restano sempre vive, sempre forti, saldamente avvolte nelle profondità della terra di Oropa. Una terra fertile, ricca, umida. Scura.
Scura come la Madonna Nera che qui dimora. Scura come l’antica Madre dalla pelle bruna, datrice di vita, di guarigione, e di rinascita dopo la morte.
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Curiosità
Ogni cento anni, a partire dall’anno in cui la Basilica Antica venne ultimata, nel 1620, la statua della Madonna Nera viene incoronata, ovvero rivestita con i preziosissimi gioielli custoditi nel Museo dei Tesori di Oropa. L’ultima incoronazione sarebbe dovuta essere il 30 Agosto 2020, ma a causa della pandemia è stata rimandata per la prima volta nella storia, e si è svolta domenica 29 Agosto 2021. In questa occasione è stato cucito a mano dalle monache benedettine dell’Isola di San Giulio, sul lago d’Orta, un mantello lungo circa 25 metri, composto nella parte inferiore da migliaia di quadratini di stoffa donati dai fedeli, e in quella superiore da una seta bianca finissima realizzata per l’occasione dalle migliori aziende tessili del biellese. Attualmente la Madonna Nera veste il suo lunghissimo manto, che prosegue dietro la statua, nella parte posteriore dell’altare, ed è avvolto molte volte su un rotolo appeso al soffitto.
La prossima incoronazione della Madonna Nera di Oropa sarà nell’anno 2120.
Il Museo dei Tesori di Oropa
Il Museo dei Tesori di Oropa è situato sul lato sinistro del santuario, di fronte alla Basilica Antica, oltre una porta che conduce lungo una scalinata. Passando attraverso la prima galleria degli ex-voto si raggiungono quindi le sale museali, precedute da tre grandi dipinti che raffigurano i tre miracoli attribuiti alla Vergine Nera di Oropa.
Le prime due salette custodiscono diversi reperti archeologici del II secolo a.C. scoperti proprio nel territorio di Oropa.
La quarta sala invece conserva i preziosissimi gioielli della corona, usati per l’incoronazione rituale della Madonna Nera di Oropa.
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ALBUM FOTOGRAFICO COMPLETO
Il complesso del Santuario di Oropa |
La Basilica Antica |
La sacra roccia incorporata nella Basilica Antica |
La Roch dla Vita, incorporata nella Cappella del Sasso o di Sant'Eusebio |
Il torrente Eva c'ha massa, o Acqua che ammazza |
L'interno della Basilica Antica |
Uno degli affreschi nei quali spicca la luminosa Stella |
La Madonna Nera di Oropa |
Note:
1. Jean Jacques Christillin, Leggende della Valle del Lys, pag. 73
2. Roberto Gremmo, Le Grandi Pietre Magiche, pagg. 10-11
3. Roberto Gremmo, Il Biellese magico e misterioso, pag. 124
Bibliografia
Begg Ean, Il misterioso culto delle Madonne Nere, Edizioni L’Età dell’Acquario, Torino, 2006
Christillin Jean Jacques, Leggende e racconti della Valle del Lys, a cura di Laura Bassi Guindani, Edizioni Guindani, Gressoney St. Jean - Aosta, 1988
Crestani Antonio, Il Cammino della Gran Madre. In Piemonte sui passi della Madonna Nera, Edizioni Porziuncola, Assisi, 2018
Gremmo Roberto, Il Biellese magico e misterioso, Storia Ribelle, Biella, 2014
Gremmo Roberto, I misteri delle Alpi Biellesi, Storia Ribelle, Biella, 2015
Gremmo Roberto, Le grandi pietre magiche. Residui di paganesimo nella religiosità popolare alpina, Storia Ribelle, Biella, 2009
Santuario di Oropa - https://www.santuariodioropa.it/
Testo, ricerca e fotografie di Laura Rimola. Nessuna parte di questa ricerca può essere citata o utilizzata in alcun modo e con alcun mezzo senza il permesso dell’autrice e senza citare la fonte.
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