11 agosto 2016

Il Sasso di Preja Buia

Le Pietre Madri
Sesto Calende - Varese - LOMBARDIA
Il Sasso di Preja Buia, o la Chioccia d'Oro

Dopo molti anni sono tornata in questo luogo emozionante, da sempre legato al culto della Grande Madre. Si tratta di un boschetto in cui si trova un grande masso erratico, il cosiddetto Sàss de Preja Buia, o Preabuco, la cui forma ricorda quella di una grande e materna chioccia, motivo per cui è chiamato anche Pita d’Oro o Chioccia d’Oro.
La Preja Buia è una grande pietra di serpentino verde che risale all’Era Quaternaria, e venne trascinata nel luogo in cui si trova dall’ultima glaciazione del Neozoico, quando il ghiacciaio si ritirò e portò con sé enormi massi e materiale morenico. Una delle sue caratteristiche più curiose è che possiede un grande potere magnetico, tanto che in sua vicinanza le bussole impazziscono e non riconoscono più il nord.
Il nome dialettale Preja Buia significa sia “pietra scura”, forse per il colore molto scuro del serpentino, sia “pietra forata” o “pietra bucata”, probabilmente per via delle numerose coppelle scavate nella parte piana del masso, sotto il “muso” della chioccia. Questa parte piatta del masso si pensa fosse usata per compiere rituali sacrificali in epoca arcaica, ma i numerosi petroglifi e le coppelle scavate sulla sua superficie potrebbero far pensare più che altro al suo utilizzo come altare per le offerte. Il sacrificio potrebbe dunque essere semplicemente l’offerta di primizie, oppure di liquidi come il latte, il sangue – forse mestruale – l’idromele, il vino e così via, mentre le coppelle potrebbero essere state utilizzate anche a scopo terapeutico, attingendo la preziosa acqua piovana che si raccoglie al loro interno e acquisisce così le proprietà minerali della pietra.
La Preja Buia è comunque ricordata soprattutto per i dolci rituali femminili volti a propiziare la fertilità. Si dice che le giovani donne vi si recassero per chiedere alla divinità il dono della nascita di un figlio e la protezione per la creatura portata in grembo durante il periodo della gravidanza.
E questo rivela il più antico significato della Preja Buia: una pietra a forma di chioccia, dunque di Madre protettiva e premurosa, che aiuta le donne che lo desiderano a diventare madri come lei, proteggendo loro e il loro bambino.

E proprio di una madre che protesse i propri figli narra la leggenda della Preja Buia.
Esistono diverse varianti di questa storia, anche se differiscono di poco l’una dall’altra, ma quelle che riassumerò brevemente qui, e da cui trarrò qualche citazione, sono per me le più belle e provengono dai vecchi libri “Leggende delle Alpi Lepontine”, di Aurelio Garobbio, e “La sponda magra. Leggende del Lago Maggiore”, di Costanzo Ranci, pubblicato nel 1931 e non più in commercio da molti anni.

La leggenda narra di un pescatore che era solito lasciare la moglie e i due figlioletti per andare a pescare durante la notte, nelle acque che dal fiume Ticino si riversano nel Lago Maggiore, nella zona di Sesto Calende. Una notte, al sopraggiungere dei primi albori, l’uomo vide comparire a pochi passi dalla riva ghiaiosa una donna bellissima, che egli riconobbe come la Dea della Bellezza. La Dea si lasciò amare, e da quel momento l’uomo la incontrò ogni notte, vivendo insieme a lei una gioia senza fine. Una notte, però, la Dea non venne, il pescatore, disperato, tormentato e incredulo all’idea di averla perduta per sempre, si lasciò sopraffare dall’ira e maledì il cielo e tutti i numi.
In risposta alla sua imprecazione, il cielo si oscurò, una terribile tempesta si scagliò sul paese, sollevando grande ondate d’acqua e colpendo le rive con fulmini impietosi. Uno dei numi ne scagliò uno contro il povero pescatore, il quale venne tramutato in un orrendo drago tozzo e mostruoso. Sotto al drago si era aperta una grande fossa che ancora oggi viene chiamata “la fossa del drago”. Passata la tempesta la Dea tornò sulle rive bagnate dalle acque, e vedendo ciò che era accaduto al suo amante le parve di morire dal dolore. Pianse, abbracciando la grande testa della bestia, e ogni sua lacrima, cadendo nell’acqua, si mutò in ninfea. Passata la disperazione, la Dea si lasciò pervadere dal furore, e per vendicarsi del nume che aveva distrutto in tal modo il suo amore, e che aveva cara quella terra, nutrì il drago di un mazzo di erbe velenose, così che questi potesse distruggerla, portando morte e cenere ovunque spirasse.
Il mattino seguente, la moglie del pescatore, non vedendolo tornare, si preoccupò ed ebbe timore che gli fosse accaduto qualcosa di terribile. Presa dai suoi tormenti, non volle credere ai suoi bambini, che guardando dalle finestre della casa le raccontavano di genti che fuggivano davanti a fiamme, incendi e terribili nubi velenose che stavano distruggendo ogni cosa. Quando si rese conto che dicevano la verità era troppo tardi, il fuoco e i vapori venefici erano vicini.
La donna fuggì con i bimbi in braccio, si precipitò verso un altura immersa nel bosco, corse e corse finché ebbe fiato, finché ebbe forza, finché non ce la fece più e, vedendo i suoi bimbi ormai privi di vita per l’aria velenosa che avevano respirato, in un ultimo gesto d’amore si gettò sui loro corpi per proteggerli, e così rimase per sempre.
Quando la tempesta, le fiamme e i veleni scomparvero, e le genti tornarono giù dalle alture, verso Sesto Calende, trovarono la povera madre morta, accucciata sopra i suoi figlioletti. Allora vollero preparare una pira funeraria, per poi dare alle loro ceneri una degna sepoltura, “ma s’erano appena incamminati verso il bosco per raccogliere legna, quando un bagliore improvviso li fece volgere di scatto: sul luogo della morte, splendeva una gigantesca chioccia tutta d’oro, accoccolata a terra, le grandi ali aperte in atto di proteggere la sua covata.
Il divino prodigio eternava nel simbolo la bellezza del gesto materno.” (La sponda magra, Costanzo Ranci, pag. 136)

L’ultima parte della storia è di una dolcezza disarmante e voglio riportarla interamente:

“Sulla riva del lago, presso Sesto Calende, si sprofonda un’orrida fossa che la gente del luogo chiama ancor oggi “la fossa del drago”. E sulle colline che dominano la conca a settentrione, in una folta macchia di acacie, v’è un gigantesco masso erratico che nella forma rassomiglia perfettamente a una chioccia in atto di covare. Il color verde di bronzo del serpentino le dà l’aspetto di un’antica statua, e i riflessi scintillano sulla patina bronzina, come ultimi segni di una doratura consunta dai secoli. A questo macigno simbolico, conosciuto col nome di “Sasso di Preabuco”, è legata la leggenda dell’amor materno, leggenda che si perde nell’epoca pagana ma che pure è ancor così viva nel paese che, sino a qualche anno fa, le giovani spose desiderose d’aver la loro casa allietata da una culla, si recavano a pregare ai piedi della chioccia di pietra. E ancor oggi, ai bimbi curiosi che vogliono sapere donde sono venuti al mondo, le buone mamme sestesi rispondono: “Eri là, figlio mio, sotto il sasso di Preabuco…”
(La sponda magra, Costanzo Ranci, pag. 136-137)

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Questo dolce racconto, come tanti altri legati ad altri siti, ricorda la sacralità e l’amore che le genti provavano per il luogo da cui è nato. Ma prima di concludere, aggiungo ancora qualche parola.
Sembra che il 21 marzo, dunque il giorno dell’Equinozio di Primavera, i primi raggi solari illuminino precisamente l’occhio della Chioccia, inciso nel sasso a forma di sole.
Quanto al drago, esso è da sempre un simbolo della Dea arcaica, e la sua scomparsa, o meglio, la sua cacciata, equivale alla scomparsa e alla cacciata della Dea stessa, per quanto la sua essenza sopravviva in ogni cosa naturale. Appare curioso che, a poche centinaia di metri dal masso erratico, sorga un oratorio d’epoca medievale dedicato a San Vincenzo, nel quale, oltre all’immagine dei Re Magi, è rimasta la debole traccia di un solo affresco laterale, il quale ritrae niente meno che San Giorgio che uccide un grande drago.
E non dovrebbe nemmeno stupire che l’oratorio, le cui fondamenta risalgono al X – XI sec., sia stato costruito sopra un tempio pagano del I-II sec. d.C. dove possiamo solo dedurre che si onorasse la Madre antica, magari nel suo aspetto di Dea della Bellezza e della Maternità.

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Ogni cosa in questo luogo – come in tanti altri – parla di una verità antica, e ogni cosa è esattamente al proprio posto, così può essere riconosciuta. Prima fra tutte, la presenza imponente della Grande Madre, che il patriarcato e il cristianesimo vollero di nuovo schiacciare e uccidere.
Eppure lei è sempre lì, e in questo posto si mostra ancora oggi in uno dei suoi aspetti più dolci e materni. La grande Chioccia d’Oro, la Pita Dorata, la Pietra Scura o Pietra Bucata, Colei che protegge con la sua stessa vita e dona la fertilità alle donne. La Mamma primitiva “sotto la quale nascono i bambini”.

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La Preja Buia - Foto reperita in rete

La Preja Buia - Segni e coppelle

La Preja Buia - Segni e coppelle

Il masso accanto alla Preja

Le fotografie che ho scattato d'estate, per via del folto fogliame, non mostrano la Pietra nella sua interezza, soprattutto nella parte anteriore a forma di testa di chioccia, così per accompagnare questa ricerca ho scelto una foto in rete, dato che la mia non era altrettanto bella, e alcune delle mie scattate in autunno.
Ricerca, testo e fotografie - tranne dove indicato - di Laura Violet Rimola. Nessuna parte di questi appunti di ricerca può essere citata o utilizzata in alcun modo senza il permesso dell'autrice.

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