La Sacerdotessa di Sesto Calende e la Tomba del Tripode
Nel Museo Archeologico di Sesto Calende è esposto un corredo funerario molto prezioso, risalente al VI secolo a.C. Gli oggetti non sono molti, sono la metà, o forse meno, di un tesoro più grande che purtroppo venne drasticamente depredato dai tombaroli, eppure la loro particolarità è unica.
Al centro della vetrina, davanti alla quale si legge “Tomba principesca appartenente a persona di sesso femminile. Pur depredata parzialmente in antico, ha conservato reperti di grande pregio, testimoni degli scambi culturali ed economici della Cultura di Golasecca” si erge un piccolo bacile di bronzo retto su un tripode con piedini antropomorfi, oltre a un pregiato pettorale femminile, ciondoli e fusarola in ambra, diverse coppe, una situla dalle splendide decorazioni e altri piccoli oggetti ornamentali. La prima volta che mi sono trovata davanti a questa vetrina ho percepito l’immensa importanza di ciò che vedevo, anche se solo in un secondo momento ho capito il vero motivo che mi aveva attratta lì.
Quel bacile con tripode sembrava avesse molto da raccontare, e ho ricordato che ne avevo visti di simili legati alle sibille del centro Italia, e che in tempi antichi solitamente erano usati per scopi rituali, quali divinazione o profezia. Un oggetto rituale, appartenuto quindi a qualcuno che con la sfera rituale aveva un ruolo essenziale. E questo qualcuno era una donna.
Una donna e un tripode sacro, dunque una sacerdotessa, senza dubbio.
Arrivare da sola a certe deduzioni, attraverso l’osservazione e l’ispirazione, stabilisce un legame profondo fra sé e colei che in quel momento sta raccontando la sua storia attraverso i suoi oggetti. Non è la stessa cosa che leggere le varie notizie in un libro, è qualcosa di più intenso, perché anche se sono cose conosciute da molti, in realtà per chi le incontra, le vede e le comprende, è come scoprirle per la prima volta. Non esistono gli altri, esiste solo l’osservatrice e l’osservata, e il loro dialogo silenzioso. Una donna e un tripode, dunque. E un pettorale ricchissimo, e ornamenti di ambra, e una fusarola, anch’essa di ambra – che a detta della guida del museo, all’epoca era paragonabile a un nostro paio di forbici fatto interamente d’oro massiccio. Tutti oggetti legati al culto di cui la donna era sacerdotessa.
Ma che ruolo poteva avere questa donna all’epoca della sua vita nel villaggio? Basti pensare che il suo corredo è il più ricco del museo, più ricco di qualsiasi altro corredo, compresi quelli maschili. Il ruolo maggiore dell’uomo era quello di guerriero e capo villaggio, e le tombe maschili più ricche sono tombe di guerrieri. Eppure nessuna di queste è ricca quanto quella della sacerdotessa. O meglio, nessuna di queste è ricca quanto la piccola parte di corredo rimasto… figuriamoci del corredo intero. La donna aveva quindi un’importanza principale nella società di allora, ed era tanto amata quanto onorata.
La sua sepoltura venne scoperta nel 1977 in quella che adesso è la zona Mulini Bellaria del pieno centro di Sesto Calende, in provincia di Varese, una zona che al tempo era prossima alla sponda del fiume Ticino. Una sepoltura vicina alle acque, quindi, che erano per le anime il mezzo per raggiungere l’altromondo.
Non si può sapere molto della vita della sacerdotessa, anche se alcune cose possono essere facilmente intuite. Il suo ruolo doveva avere legami con la profezia e la divinazione, o ritualità simili di cui il bacile con tripode è testimonianza. La guida del museo mi ha spiegato che quello che si conosce delle sacerdotesse dell’epoca – tutte notizie riportate come sappiamo dai Romani – è che celebravano completamente nude, col corpo dipinto di blu e verde, e che spesso avevano un aspetto fisico molto particolare: i capelli rossi e gli occhi verdi. Data la presenza del ricco pettorale, però, la guida ha ipotizzato che la sacerdotessa di Sesto Calende officiasse indossandolo, perché, aggiungo io, ciò che viene seppellito con il corpo è ciò che la persona in vita utilizzava, e/o ciò con cui era maggiormente ricordata e riconosciuta nel suo ruolo dalle sue genti.
Alcuni piccoli elementi mi hanno suggerito un’ulteriore ipotesi. All’interno delle coppe erano state poste offerte alimentari, e nonostante il tempo e l’acidità del terreno sono rimasti alcuni piccoli resti di ossicini di volatili. Alla sacerdotessa erano stati offerti uccelli – per sfamarsi o come guide spirituali – per il suo viaggio nell’altromondo, insieme a un liquido che è possibile fosse latte. Non solo, il manico della situla termina con un motivo a S che dà forma a due testine ornitomorfe stilizzate. È quindi possibile che la sacerdotessa fosse legata agli uccelli? Viveva sulle sponde del fiume, come il suo popolo, per cui è possibile che parte dei suoi riti fossero rivolti a divinità acquatiche, forse in forme di uccelli acquatici.
Ma non era solo il fiume a far parte del paesaggio sacro in cui visse la misteriosa donna. Molto vicino alla sepoltura sorge da tempo immemore il Sass da Preja Buja – di cui ho scritto molte volte – presso il quale si svolgevano rituali pagani sin dai primi tempi dell’occupazione umana nel territorio. Non può dunque esserci alcun dubbio che la sacerdotessa di Sesto Calende celebrasse i suoi riti, per la Grande Madre e per il suoi popolo, proprio ai piedi del masso erratico, usando come altare la pietra coppellata e incisa.
La Preja Buja è sempre stata legata al culto betilico, dedicato alla Grande Dea Madre, e lì si svolgevano rituali femminili legati alla fertilità e ad altri misteri. È molto probabile che a seconda delle epoche la Grande Madre avesse assunto diversi volti e nomi, ma ciò che è certo è che fosse venerata principalmente nel suo aspetto di Dea delle donne, dei boschi, delle pietre, della verginità sacra, della fertilità. A dimostrarlo, in epoca successiva a quella della sacerdotessa, un cippo di età romana imperiale ritrovato nell’Oratorio di San Vincenzo, ai piedi della Preja Buja – lo stesso che presenta al suo interno l’affresco di San Giorgio che uccide il Drago – e utilizzato come supporto per l’acquasantiera, sul quale si legge una dedica eccezionale:
“Per comando e ordine
della celeste Diana Augusta,
agli dei e alle dee
tutt’insieme, Gaio Elpio (?)
per sé con
la madre e i figli
tutti, sciolse il voto.”
Questo è ciò che è riportato nel testo che spiega la dedica: “Per ispirazione, probabilmente nel sonno, della dea Diana (…) un devoto dal nome incerto fu indotto, per il bene suo e dei suoi, a formulare un voto rivolto a dei e dee insieme. La formula dell’ispirazione di Diana e l’offerta a tutte le divinità sono rare; ma un caso davvero unico fin qui è che esse siano indicate come “unite, tutt’insieme” (…).”
(Tratto da “La raccolta archeologica e il territorio”, Museo Civico di Sesto Calende, pag. 160)
La Dea Diana di cui è stato scolpito il nome in età romana imperiale deriva certamente da una Dea che, prima dell’interpretatio romana, era probabilmente conosciuta con altro nome, ma che incarnava le virtù precedentemente accennate di Dea delle donne, dei boschi, delle pietre, della verginità sacra, della fertilità. La stessa Dea che si ritrova spesso, molto spesso, in iscrizioni simili di tutto il Nord Italia.
Chi era, dunque, la Sacerdotessa di Sesto Calende? Probabilmente era una sposa della terra e delle acque, una profetessa, una depositaria dei misteri, una guida sacra per tutto il villaggio; una seguace dell’antica Madre che svolgeva rituali alla Preja Buja, che indossava gli oggetti rinvenuti nella sua tomba, che sapeva leggere nelle acque del bacile, che utilizzava la fusarola per motivi cultuali, che era amata e onorata da tutti.
Purtroppo, oltre ai moltissimi oggetti sottratti dai tombaroli al suo corredo, è assente anche la sua urna. L’urna, sicuramente decorata e lavorata in un modo che possiamo solo immaginare, con le sue ceneri chiuse all’interno, non è mai stata trovata, ovvero è una delle cose trafugate… e se non è andata persa potrebbe far parte di qualche “collezione privata” di persone ricche e incuranti, oltre che stupidamente inconsapevoli della profanazione, anche se quest’ultima è imputabile ai loro predecessori. Il corredo sacerdotale, o almeno quel poco che ne è rimasto, è stato separato dalla sua legittima signora, e lei non c’è più. Ma la sua storia è rimasta, impressa nei suoi oggetti, nei luoghi che lei frequentava, nella cura e negli onori con cui è stata sepolta. Una donna sacra che oggi, un pochino più di ieri, può essere ricordata e amata ancora una volta.
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Voglio riportare ora due brevi citazioni tratte dai testi e dagli articoli che analizzano e descrivono la cosiddetta Tomba del Tripode, ovvero quella della nostra sacerdotessa.
“La tomba era molto grande, con struttura a cassone, formata da lastre di pietra, e ricco il corredo. Sono proprio gli oggetti del corredo a permettere di definire il sesso del defunto. L'armilla, cioè il bracciale in legno, un frammento della cintura, perle di ambra, un pendaglio formato da trenta catenelle sono elementi dell'abbigliamento e dell'ornamento riferibili ad una donna. Invece il tripode, contenitore di liquidi, probabilmente acqua, è legato all'ambito religioso e permette quindi di qualificare meglio la donna come una sacerdotessa, appartenente a una famiglia di rango del comprensorio del Ticino nel VI secolo a.C.”
(Manuela Mentasti - ArteVarese)
Il brano che segue vorrei venisse marchiato a fuoco su tutti coloro – archeologi, accademici, studiosi, ecc. – che ancora tentano, ovunque, di togliere importanza alla centralità lampante del femminile nella sfera cultuale antica:
“La tomba, inoltre, illustra in maniera esemplare un fenomeno caratteristico della cultura di Golasecca tra la metà del VI e gli inizi del V secolo a.C.: le tombe più ricche in questo periodo sono femminili e accanto ad oggetti d’ornamento di lusso presentano anche arredi specializzati a destinazione rituale, com’è il caso del tripode o nelle coeve tombe della Cà Morta i cosiddetti doppieri o ad Albate l’elaborato vaso ad alto piede, tre bracci e tre gutti ornitomorfi.”
(Tratto da “Riti e Culti nell’età del ferro. Conferenze, Giugno 1998, Comune di Sesto Calende, Comitato Culturale del Centro Comune di Ricerca di Ispra, Museo Civico di Sesto Calende, pag. 27)
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Come si deduce da questo ultimo brano, la Tomba del Tripode è soltanto una delle varie altre tombe femminili, “le tombe più ricche”, legate tutte ad “arredi a destinazione rituale”, della zona in cui si sviluppò la cultura golasecchiana. Perché era pieno di sacerdotesse, che nei villaggi avevano il ruolo più importante, e che in ogni luogo vennero seppellite con gli onori più grandi.
In un prossimo intervento riporterò le notizie sulle altre tombe di sacerdotesse simili a quella del Tripode di Sesto Calende. Così, frammento dopo frammento, ci riapproprieremo del nostro passato, e della nostra eredità femminile.
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Fonti consultate per la stesura del brano di ricerca:
“Riti e Culti nell’età del ferro. Conferenze, Giugno 1998”, Comune di Sesto Calende, Comitato Culturale del Centro Comune di Ricerca di Ispra, Museo Civico di Sesto Calende
“La raccolta archeologica e il territorio”, Museo Civico di Sesto Calende
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Offro la mia esperienza diretta e questa ricerca con l’accorato intento di riportare alla memoria la Sacerdotessa di Sesto Calende, e le sue molte sorelle. Lei, e le altre, meritano di essere di nuovo conosciute, ricordate e onorate.
ALBUM FOTOGRAFICO
Il Tripode della Sacerdotessa |
La Situla della Sacerdotessa |
Gli ornamenti della Sacerdotessa |
Dipinto di una Sacerdotessa celtica, forse simile a quella di Sesto Calende |
Ricerca, testo e fotografie di Laura Violet Rimola. Nessuna parte di questi appunti di ricerca può essere citata o utilizzata in alcun modo senza il permesso dell'autrice.
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